9.26.2017

The Killers - Wonderful wonderful (2017, Island)

Non è colpa mia se quando sento pronunciare Killers mi scatta automaticamente in testa un roboante “Coming out of my cage / And I've been doing just fine”. D'altra parte se ti presenti al mondo esibendo un pezzo immenso come Mr. Brightside il rischio di non riuscire nell'impresa di ripeterti al 100% è altissimo. Correva l'anno 2003. Hot fuss era il manifesto dell'energia di una band che voleva fare sentire la propria voce e che – sebbene recuperando dal passato con metodo alla stregua di altri gruppi di quel periodo lì – riusciva ad eccellere sprigionando una notevole freschezza. La popolarità dei ragazzi di Las Vegas è perfino salita via When we were young, per raggiungere l'apice con un trionfo pop del calibro di Human (per i critici l'inizio del declino, per le masse l'occasione più ghiotta per conoscerli). Ma dopo Day & age il giocattolo scricchiola: una pausa, Flowers che ci prova da solo ed ecco arrivare Battle born, universalmente riconosciuto come l'album più inoffensivo della carriera dei Killers.

Mi avvicino a Wonderful wonderful con un approccio a metà tra leggera sfiducia e rovinoso pessimismo, e al termine dell'ascolto vengo rapito dallo sconforto. Sarebbe davvero troppo facile ironizzare sulla vena creativa del quartetto facendo leva sull'aberrante titolo dell'album o sul comodo assist fornitomi dal brano finale (che si chiama Have all the songs been written?), quindi decido di mantenere la calma. Prendo un bel respiro e pure un metaforico cancellino con il quale elimino dalla mia personale lavagna mentale i Killers di inizio millennio, riponendo con premura le varie Somebody told me, Change your mind e For reasons unknown in un cassetto: lasciamo il passato al suo posto. Quando premo play per la seconda volta mi accorgo che in fin dei conti qualcosa da salvare c'è.

Se la title-track non possiede proprio nulla di Wonderful, la sostenuta Run for cover si fa ballare di gusto con annessi assentimenti convinti di capo. Laddove The man lascia quasi indifferenti nel suo scimmiottare inefficacemente il funk sintetico anni 80, Tyson Vs. Douglas rende un onesto tributo a certi stilemi di epoca New Wave. Per una ballad finale soporifera c'è una Life to come che va a ripescare l'istinto armonico primordiale dei Killers, strappando un degno consenso. Il resto rasenta la noia: Rut se la cava pur essendo un tantino ridondante in quanto a capricci nostalgici, Some kind of love e Out of my mind provocano sonori sbadigli e The calling finisce presto nel dimenticatoio senza incontrare resistenze.

Wonderful wonderful porta con sé due notizie, una buona e l'altra cattiva. Quella buona è che Battle born per ora rimane senza dubbio il momento più basso della carriera della band, perché in questo disco ci sono tre o quattro brani azzeccati. La brutta notizia è che tre o quattro brani sono ancora troppo poco per affermare che i Killers si stiano definitivamente riscuotendo dalla nebbia di torpore che li avvolge da quasi dieci anni. Rimandati a un altro Settembre.

5.5/10

Highlights: 
Rut, Life to come, Run for cover, Tyson Vs. Douglas.


9.04.2017

Lcd Soundsystem - American dream (2017, DFA / Columbia)

E' inutile che tenti di trovare dei giri di parole: io adoro le band che si prendono il proprio tempo. In un'epoca di algoritmi che favoriscono l'”adesso e ora” e dove notizie, eventi, opere ed emozioni vengono macinate a una velocità insostenibile trasformando istantaneamente l'eccitante presente in un banale passato, trovo confortante che esista ancora qualcuno che se ne freghi dei ritmi imposti dalla società e preferisca prendersi il tempo che serve per rifinire, curare e coccolare le proprie fatiche.
In questo senso la notizia che James Murphy a un certo punto abbia deciso di interrompere il percorso degli LCD Soundsystem per dedicarsi (tra le altre cose) alla creazione di una sua personale miscela di espresso è a dir poco meravigliosa. Da una parte c'è chi venderebbe la famiglia per azzeccare un singolo e cavalcarne l'onda; dall'altra c'è lui, che marchia a fuoco il suono di New York del ventunesimo secolo con tre dischi epici e poi decide che ha bisogno di una pausa caffè.

Passano quindi sette anni, e American dream – quarto album della formazione Newyorkese – si materializza nel mio hard disk al crepuscolo dell'estate sfoggiando una copertina talmente impresentabile che non potrebbe nemmeno ambire al ruolo di artwork provvisorio. Ma io – colto da un brusco quanto inaspettato slancio punk – la prendo bene, sperando in una corroborante vittoria della sostanza sulla forma.
E bastano le prime note della languida Oh baby per capire che mai speranza fu meglio riposta: il tempo si cristallizza, i secoli si confondono e questo immenso ritornello che si srotola in un cupo crescendo mi lascia inerme a fissare il vuoto, mentre nell'aria riecheggiano le lancinanti parole finali di Murphy (There's always a side door into the dark).
A tirarmi fuori da questo incantevole buco nero ci pensano il freddo funk psichedelico di Other voices, l'incedere risoluto di I used to e i virtuosismi dissonanti di Change yr mind, prima che i quasi 10 minuti dell'arrabbiato brano centrale del disco (How do you sleep?) mi catapultino in un sogno drogato senza uscita. Mentre intorpidito mi sto ancora godendo le ultime sbavature di synth zeppo di riverbero, i bassi di Tonite mi assestano uno schiaffo tremendo scaraventandomi in uno scantinato buio e sporco della Grande Mela, e intorno a me ci sono solo fumo e luci stroboscopiche. L'eclettismo è cosa buona e giusta quando sei un fuoriclasse.
Proprio quando credo che ora – soprattutto dopo una doppietta di questo calibro - sia giunto il momento di testimoniare un'inevitabile leggera flessione ispirazione, ecco materializzarsi il dritto rock sapientemente (auto)citazionista di Call the police, la perfetta ballad in sei ottavi che da il titolo all'album, il Post-Punk (con doppia P maiuscola) di Emotional haircut e il mastodontico, sconvolgente e definitivo finale.
Scorrono i titoli di coda, in sala cala il buio e faccio fatica a realizzare che le mie orecchie hanno appena ascoltato quello che senza dubbio si può definire un capolavoro moderno. Un'opera rifinita, curata e coccolata. Senza tempo.

8.5/10

Highlights: 
Tutto.